Le cartoline dall'America di Salvatore Cento
Salvatore Cento, Ture per parenti ed amici, è un vaccariddòto verace, nonostante nel 1956, a soli 13 anni, abbia dovuto abbandonare Milazzo per emigrare a New York (Staten Island). Statunitense d’adozione, ha acquisito la cittadinanza americana nel 1964, tornando comunque in Italia spesso e volentieri per riabbracciare i propri cari e gli amici di sempre. Nel 1990 ha riconquistato lo status di cittadino italiano, ben consapevole ed orgoglioso delle proprie origini, alle quali è rimasto saldamente ancorato: Salvatore, non a caso, è un geloso custode delle memorie della sua Vaccarella, una preziosa fonte d’informazione per le ricerche condotte dallo scrivente.
Giorno dopo giorno, inviando via mail dalla lontana New York lunghe e dettagliate corrispondenze nonché gustosissime fotografie scattate a Vaccarella durante le sue periodiche vacanze “italiane”, ha di fatto scritto inconsapevolmente uno straordinario diario di ricordi in cui emergono figure a volte dimenticate, a volte ancora vive nella memoria collettiva del borgo marinaro, oggi sempre più soffocato dall’avanzata dei pontili galleggianti, voluti da una nautica da diporto che sta gradualmente seppellendo la secolare storia peschereccia di Vaccarella.
Dai ricordi di Salvatore emergono in primo luogo il nonno materno, Giuseppe Cusumano, ed i suoi tre figli Saverino, Nino e Pasqualino, tutti deceduti ad eccezione di Saverio, ormai prossimo ai novant’anni ma ancora arzillo ed in forma, tanto da recarsi quotidianamente al bar di S. Maria Maggiore con la sua motoape. Loro erano gli “Scilla”, abitavano in via Scopari ed erano dei veri e propri maestri nella pesca col conzo. I tre fratelli erano ancora giovani, quando, verso la fine degli anni Quaranta, andavano a pescare con l’àngamo, suscitando l’eccitata ammirazione dell’allora piccolo Salvatore: «mio nonno ed i miei zii andavano a pescare con l’àngamo quasi ogni fine settimana. Mio nonno aveva alcuni clienti che la domenica mattina, approfittando del giorno di riposo, andavano a pescare con la lenza nella “Pràia”, ossia nell’area dove oggi sorge la Raffineria e dove sino agli anni Cinquanta si pescavano, tra l’altro, stupende aiule. I pescatori dilettanti della domenica compravano da mio nonno le esche di cui avevano bisogno, i gamberi, che gli “Scilla” catturavano appunto con l’àngamo, iniziando a pescare intorno all’una della notte tra sabato e domenica. L’àngamo veniva calato a fondo e “carreggiato” dietro la barca a forza di remi, sino a quando si riempiva di tutto quello che si trovava sul fondo marino. Dopo aver eseguito 3-4 “calàte”, ritornavano a casa disponendo sopra la tavola l’intero pescato: si sedevano tutti e quattro attorno al tavolo per selezionare i gamberi da assegnare ai clienti. Nel far questo, parlavano tra loro pian pianino per non svegliare gli altri, ma io, che rimanevo sveglio ad aspettarli, non appena ritornavano scappavo dal letto per raggiungerli a tavola: il richiamo era troppo forte, tutta quella vita marinara mi affascinava tantissimo; erano le meraviglie di un mondo nuovo che scoprivo settimana dopo settimana. C’era di tutto, perlopiù alghe, ma tanti, tanti gamberi e molti pesciolini che saltavano su e giù: c’erano cavallini di mare, stelle marine, boccòni, anzùni, granchi, cicale, ma anche pesci più grandi come “scoffane”, prècchie, aiule, lappe e sparagliòni. Gli “Scilla” possedevano un àngamo ed un altro “mestiere” simile nella forma ma di dimensioni minori: l’angamèddu. Alle prime luci dell'alba della domenica, i pescatori dilettanti giungevano in bicicletta per acquistare quei gamberi catturati durante la notte».
Particolarmente caro a Salvatore è lo zio Saverino “Scilla”, anche perché rappresenta oggi l’ultimo anello della catena, quell’anello che lo unisce idealmente ai propri cari che adesso non ci sono più. Come lo zio Nino “Scilla”, deceduto una mattina del 2005 nella spiaggia di Vaccarella, colpito da ictus proprio quando si apprestava a varare la propria imbarcazione per andare a pesca insieme al fratello Saverino. Tanti sono i ricordi che lo legano al vecchio lupo di mare ancora in forma: «quando venivo in vacanza a Milazzo, mio zio Saverino ogni tanto mi portava a pescare con lui. Calava il conzo nella Praia, catturando pettini, tracine e fagiani, pesci meravigliosi che in quello specchio d’acqua, oggi dominato dai complessi industriali, credo non esistano più. Una volta, pescando con lui lungo le coste del Capo, comparvero all’improvviso attorno a noi centinaia di delfini che saltavano freneticamente fuori dall’acqua: mi venne un gran fifa, anche perché in vita mia non avevo mai visto qualcosa di simile. Alcuni sguazzavano in prossimità della nostra barca: fu allora che, vedendoli avvicinare sempre più, mi rivolsi allo zio, domandandogli: “che facciamo adesso, ce la squagliamo?” E lui: “tranquillo, tranquillo… non avere paura, sono pesci docili, vedrai che non ci faranno del male” e continuò a salpare il conzo tranquillamente, come se nulla fosse. La mia paura non si placò, ma alla fine aveva ragione lui: quei delfini non ci procurarono il benché minimo fastidio».
I ricordi si accavallano nella mente di Salvatore, che con un pizzico di nostalgia rivive momenti, luoghi, personaggi e persino imbarcazioni della propria infanzia. Come il “buzzetto” a vela che il nonno ed i tre zii “Scilla” utilizzavano per la pesca alla fine degli anni Quaranta. Personaggi a tratti leggendari, come Pietro “Lilla”, imbarcato insieme all’eroico Luigi Rizzo ai tempi della Grande Guerra: «pare che il suo cognome fosse Salmeri. In pochi a Vaccarella si ricordano di lui», precisa Salvatore, che aggiunge: «morì in miseria da povero pescatore, tirava la sua barchetta sotto la chiesa di S. Maria Maggiore ed abitava in prossimità del Santuario di S. Francesco di Paola, in fondo alla via Scopari, strada in cui peraltro abitavo pure io».
Vaccarella era frequentata da personaggi a volte caratteristici. È il caso del casalòto «Ràsi Pippìnu», che negli anni Cinquanta, ormai anziano, andava a pescare per ingannare il tempo utilizzando «’u conzu ‘i pilu». Catturava anche “sicce” e “pruppicèddi”, zoppicava un poco a causa di un suo piede malandato, ma era sempre contento e sorridente. «Scherzava spesso, contrariamente a Pietro “Lilla” che invece era sempre triste e pensieroso. Come “Lilla” tirava anche lui la sua barchetta sotto S. Maria Maggiore. Non conosco il suo cognome e non so perche lo chiamassero “rasi”, titolo che sembra più un soprannome piuttosto che una sua reale qualifica in una delle diverse tonnare milazzesi. Una cosa è certa: lo ricordo con infinito affetto».
Sono tanti i pescatori che sfilano nella mente di Salvatore: suo zio Ture, il quale, così come il fratello Stefano Salmeri, tonnaroto al Tono, veniva chiamato affettuosamente “Mascialà”, forse storpiatura di Mascialài. Lo zio Ture Salmeri abitava in via Ventimiglia, a pochi metri dal pescatore Santo Russo detto “Santèdda” e da un’altra famiglia di esperti pescatori: gli “Stagno”. In via Scopari, non molto lontano dagli “Scilla”, abitavano i Cusumano detti “Pilùsu”, specialisti nella pesca con le tradizionali nasse di giunco, costruite a mano da loro stessi. Via Calcagno era invece il dominio incontrastato di Giacomino Scalzo, il conzo era la sua specialità, ma anche di altri pescatori. E ancora, a S. Maria Maggiore c’erano altri esperti pescatori, come il caro “Cicciu Specchiu” e Mico D’Amico, affettuosamente conosciuto a Vaccarella come “Micu Paddu”: «era fortissimo con il conzo. E’ morto diversi anni fa - precisa Salvatore - ma la sua maestria è stata tramandata agli anziani figli Santo e Franco, che impiegano diversi “mestieri” e che attualmente tirano la propria barca nei pressi della chiesa di S. Maria Maggiore, a pochi metri dal luogo in cui operavano prima di essere “sfrattati” dal porticciolo turistico».
Una lunga carrellata di personaggi, cui Salvatore non manca di affiancare i “mestieri” impiegati a Vaccarella dagli anni della sua infanzia: sciabiche, lacciare, conzi, nasse, lontri, angami e persino filòse. Così come non manca di ricordare una pesca eccezionale avvenuta nel 1959, quando Peppino Maisano “Marasùli” e suo fratello Salvatore catturarono, insieme ai loro colleghi abituali, uno stranissimo pesce, gigantesco, lungo una dozzina di metri e con una bocca talmente grande da poter ospitare un uomo, un pesce rimasto intrappolato nelle reti calate dai Marasole, i quali, malgrado la notevole esperienza, non furono in grado di identificare quella strana creatura, che presentava peraltro lunghi filamenti che uscivano dalle vie respiratorie.
La mente di Salvatore viaggia indietro nel tempo, ricordando anche qualche momento di apprensione che si presenta, a distanza di decenni, ancora oggi. Come quando gli raccontarono del figlio di un fratello del suo nonno materno Giuseppe Cusumano, disperso in mare a causa di una tempesta durante una battuta di pesca. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Si chiamava Sciavèri. «Questo cugino di mia madre abitava nei pressi dell’Asilo Calcagno. Intorno al 1950 ricordo che uscì una nuova canzone: s’intitolava “E la barca tornò sola” ed a cantarla era Franco Ricci. Ricordo in particolare l’inizio del testo: “erano tre fratelli pescatori”… Morirono in mare per salvare una straniera, e siccome i miei zii erano anch’essi tre fratelli pescatori e non di rado si trovavano in mezzo alle tempeste, e ben conoscendo peraltro la fine che purtroppo aveva fatto il loro cugino Sciaveri, da bambino avevo sempre una gran paura che a volte torna ancor oggi nei miei incubi».
Tra i racconti di Salvatore, abbastanza interessanti anche quelli tramandatigli dai suoi parenti e riguardanti il secondo conflitto mondiale: durante il mitragliamento che danneggiò la facciata di Palazzo Lucifero in Marina Garibaldi, facciata che a distanza di circa settant’anni presenta ancora i segni di quel mitragliamento, rimasero gravemente feriti la sorella di suo nonno Giuseppe, Francesca Cusumano, ed un parente dello stesso nonno, Angelo Cusumano: la prima perse un braccio, mentre il secondo una gamba. «Mio zio Nino, fratello del papà, rimase invece inchiodato a terra in mezzo alla strada di fronte alla chiesa di S. Maria Maggiore: fu salvato da un soldato tedesco che per salvarlo rischiò la vita».
MASSIMO TRICAMO
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Giorno dopo giorno, inviando via mail dalla lontana New York lunghe e dettagliate corrispondenze nonché gustosissime fotografie scattate a Vaccarella durante le sue periodiche vacanze “italiane”, ha di fatto scritto inconsapevolmente uno straordinario diario di ricordi in cui emergono figure a volte dimenticate, a volte ancora vive nella memoria collettiva del borgo marinaro, oggi sempre più soffocato dall’avanzata dei pontili galleggianti, voluti da una nautica da diporto che sta gradualmente seppellendo la secolare storia peschereccia di Vaccarella.
Dai ricordi di Salvatore emergono in primo luogo il nonno materno, Giuseppe Cusumano, ed i suoi tre figli Saverino, Nino e Pasqualino, tutti deceduti ad eccezione di Saverio, ormai prossimo ai novant’anni ma ancora arzillo ed in forma, tanto da recarsi quotidianamente al bar di S. Maria Maggiore con la sua motoape. Loro erano gli “Scilla”, abitavano in via Scopari ed erano dei veri e propri maestri nella pesca col conzo. I tre fratelli erano ancora giovani, quando, verso la fine degli anni Quaranta, andavano a pescare con l’àngamo, suscitando l’eccitata ammirazione dell’allora piccolo Salvatore: «mio nonno ed i miei zii andavano a pescare con l’àngamo quasi ogni fine settimana. Mio nonno aveva alcuni clienti che la domenica mattina, approfittando del giorno di riposo, andavano a pescare con la lenza nella “Pràia”, ossia nell’area dove oggi sorge la Raffineria e dove sino agli anni Cinquanta si pescavano, tra l’altro, stupende aiule. I pescatori dilettanti della domenica compravano da mio nonno le esche di cui avevano bisogno, i gamberi, che gli “Scilla” catturavano appunto con l’àngamo, iniziando a pescare intorno all’una della notte tra sabato e domenica. L’àngamo veniva calato a fondo e “carreggiato” dietro la barca a forza di remi, sino a quando si riempiva di tutto quello che si trovava sul fondo marino. Dopo aver eseguito 3-4 “calàte”, ritornavano a casa disponendo sopra la tavola l’intero pescato: si sedevano tutti e quattro attorno al tavolo per selezionare i gamberi da assegnare ai clienti. Nel far questo, parlavano tra loro pian pianino per non svegliare gli altri, ma io, che rimanevo sveglio ad aspettarli, non appena ritornavano scappavo dal letto per raggiungerli a tavola: il richiamo era troppo forte, tutta quella vita marinara mi affascinava tantissimo; erano le meraviglie di un mondo nuovo che scoprivo settimana dopo settimana. C’era di tutto, perlopiù alghe, ma tanti, tanti gamberi e molti pesciolini che saltavano su e giù: c’erano cavallini di mare, stelle marine, boccòni, anzùni, granchi, cicale, ma anche pesci più grandi come “scoffane”, prècchie, aiule, lappe e sparagliòni. Gli “Scilla” possedevano un àngamo ed un altro “mestiere” simile nella forma ma di dimensioni minori: l’angamèddu. Alle prime luci dell'alba della domenica, i pescatori dilettanti giungevano in bicicletta per acquistare quei gamberi catturati durante la notte».
Particolarmente caro a Salvatore è lo zio Saverino “Scilla”, anche perché rappresenta oggi l’ultimo anello della catena, quell’anello che lo unisce idealmente ai propri cari che adesso non ci sono più. Come lo zio Nino “Scilla”, deceduto una mattina del 2005 nella spiaggia di Vaccarella, colpito da ictus proprio quando si apprestava a varare la propria imbarcazione per andare a pesca insieme al fratello Saverino. Tanti sono i ricordi che lo legano al vecchio lupo di mare ancora in forma: «quando venivo in vacanza a Milazzo, mio zio Saverino ogni tanto mi portava a pescare con lui. Calava il conzo nella Praia, catturando pettini, tracine e fagiani, pesci meravigliosi che in quello specchio d’acqua, oggi dominato dai complessi industriali, credo non esistano più. Una volta, pescando con lui lungo le coste del Capo, comparvero all’improvviso attorno a noi centinaia di delfini che saltavano freneticamente fuori dall’acqua: mi venne un gran fifa, anche perché in vita mia non avevo mai visto qualcosa di simile. Alcuni sguazzavano in prossimità della nostra barca: fu allora che, vedendoli avvicinare sempre più, mi rivolsi allo zio, domandandogli: “che facciamo adesso, ce la squagliamo?” E lui: “tranquillo, tranquillo… non avere paura, sono pesci docili, vedrai che non ci faranno del male” e continuò a salpare il conzo tranquillamente, come se nulla fosse. La mia paura non si placò, ma alla fine aveva ragione lui: quei delfini non ci procurarono il benché minimo fastidio».
I ricordi si accavallano nella mente di Salvatore, che con un pizzico di nostalgia rivive momenti, luoghi, personaggi e persino imbarcazioni della propria infanzia. Come il “buzzetto” a vela che il nonno ed i tre zii “Scilla” utilizzavano per la pesca alla fine degli anni Quaranta. Personaggi a tratti leggendari, come Pietro “Lilla”, imbarcato insieme all’eroico Luigi Rizzo ai tempi della Grande Guerra: «pare che il suo cognome fosse Salmeri. In pochi a Vaccarella si ricordano di lui», precisa Salvatore, che aggiunge: «morì in miseria da povero pescatore, tirava la sua barchetta sotto la chiesa di S. Maria Maggiore ed abitava in prossimità del Santuario di S. Francesco di Paola, in fondo alla via Scopari, strada in cui peraltro abitavo pure io».
Vaccarella era frequentata da personaggi a volte caratteristici. È il caso del casalòto «Ràsi Pippìnu», che negli anni Cinquanta, ormai anziano, andava a pescare per ingannare il tempo utilizzando «’u conzu ‘i pilu». Catturava anche “sicce” e “pruppicèddi”, zoppicava un poco a causa di un suo piede malandato, ma era sempre contento e sorridente. «Scherzava spesso, contrariamente a Pietro “Lilla” che invece era sempre triste e pensieroso. Come “Lilla” tirava anche lui la sua barchetta sotto S. Maria Maggiore. Non conosco il suo cognome e non so perche lo chiamassero “rasi”, titolo che sembra più un soprannome piuttosto che una sua reale qualifica in una delle diverse tonnare milazzesi. Una cosa è certa: lo ricordo con infinito affetto».
Sono tanti i pescatori che sfilano nella mente di Salvatore: suo zio Ture, il quale, così come il fratello Stefano Salmeri, tonnaroto al Tono, veniva chiamato affettuosamente “Mascialà”, forse storpiatura di Mascialài. Lo zio Ture Salmeri abitava in via Ventimiglia, a pochi metri dal pescatore Santo Russo detto “Santèdda” e da un’altra famiglia di esperti pescatori: gli “Stagno”. In via Scopari, non molto lontano dagli “Scilla”, abitavano i Cusumano detti “Pilùsu”, specialisti nella pesca con le tradizionali nasse di giunco, costruite a mano da loro stessi. Via Calcagno era invece il dominio incontrastato di Giacomino Scalzo, il conzo era la sua specialità, ma anche di altri pescatori. E ancora, a S. Maria Maggiore c’erano altri esperti pescatori, come il caro “Cicciu Specchiu” e Mico D’Amico, affettuosamente conosciuto a Vaccarella come “Micu Paddu”: «era fortissimo con il conzo. E’ morto diversi anni fa - precisa Salvatore - ma la sua maestria è stata tramandata agli anziani figli Santo e Franco, che impiegano diversi “mestieri” e che attualmente tirano la propria barca nei pressi della chiesa di S. Maria Maggiore, a pochi metri dal luogo in cui operavano prima di essere “sfrattati” dal porticciolo turistico».
Una lunga carrellata di personaggi, cui Salvatore non manca di affiancare i “mestieri” impiegati a Vaccarella dagli anni della sua infanzia: sciabiche, lacciare, conzi, nasse, lontri, angami e persino filòse. Così come non manca di ricordare una pesca eccezionale avvenuta nel 1959, quando Peppino Maisano “Marasùli” e suo fratello Salvatore catturarono, insieme ai loro colleghi abituali, uno stranissimo pesce, gigantesco, lungo una dozzina di metri e con una bocca talmente grande da poter ospitare un uomo, un pesce rimasto intrappolato nelle reti calate dai Marasole, i quali, malgrado la notevole esperienza, non furono in grado di identificare quella strana creatura, che presentava peraltro lunghi filamenti che uscivano dalle vie respiratorie.
La mente di Salvatore viaggia indietro nel tempo, ricordando anche qualche momento di apprensione che si presenta, a distanza di decenni, ancora oggi. Come quando gli raccontarono del figlio di un fratello del suo nonno materno Giuseppe Cusumano, disperso in mare a causa di una tempesta durante una battuta di pesca. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Si chiamava Sciavèri. «Questo cugino di mia madre abitava nei pressi dell’Asilo Calcagno. Intorno al 1950 ricordo che uscì una nuova canzone: s’intitolava “E la barca tornò sola” ed a cantarla era Franco Ricci. Ricordo in particolare l’inizio del testo: “erano tre fratelli pescatori”… Morirono in mare per salvare una straniera, e siccome i miei zii erano anch’essi tre fratelli pescatori e non di rado si trovavano in mezzo alle tempeste, e ben conoscendo peraltro la fine che purtroppo aveva fatto il loro cugino Sciaveri, da bambino avevo sempre una gran paura che a volte torna ancor oggi nei miei incubi».
Tra i racconti di Salvatore, abbastanza interessanti anche quelli tramandatigli dai suoi parenti e riguardanti il secondo conflitto mondiale: durante il mitragliamento che danneggiò la facciata di Palazzo Lucifero in Marina Garibaldi, facciata che a distanza di circa settant’anni presenta ancora i segni di quel mitragliamento, rimasero gravemente feriti la sorella di suo nonno Giuseppe, Francesca Cusumano, ed un parente dello stesso nonno, Angelo Cusumano: la prima perse un braccio, mentre il secondo una gamba. «Mio zio Nino, fratello del papà, rimase invece inchiodato a terra in mezzo alla strada di fronte alla chiesa di S. Maria Maggiore: fu salvato da un soldato tedesco che per salvarlo rischiò la vita».
MASSIMO TRICAMO
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Postcards from America by Salvatore Cento
Salvatore Cento, Ture for relatives and friends, is a vaccariddòto true, although in 1956, just 13 years old, has had to abandon Milazzo to emigrate to New York (Staten Island). American by adoption, has acquired American citizenship in 1964, back in Italy, however, often to hug their loved ones and friends forever. In 1990 he regained the status of an Italian citizen, well aware and proud of their origins, which remained at the root: Savior, not surprisingly, is a jealous guardian of the memories of his Vaccarella, a valuable source of information for research conducted by the writer.
Day after day, by sending e-mail all the way from New York long and detailed correspondences and tasty photographs taken in Vaccarella during its regular holiday "Italian", has in fact unknowingly wrote a remarkable diary of memories in which figures emerge sometimes forgotten, sometimes still alive in the collective memory of a fishing village, today more and more suffocated by the advance of floating pontoons, took a pleasure craft that is gradually burying the secular history of fishing Vaccarella.
From the memories of Salvatore emerge in the first place his maternal grandfather, Joseph Cusumano, and his three sons Saverino, Nino and Pasqualino, all deceased with the exception of Xavier, now close to ninety years old but still spry and fit, so as to go on a daily basis at the bar of S. Maria Maggiore with its motoape. They were the "Scylla", lived in Scopari away and they were real masters of fishing with Conzo. The three brothers were still young when, towards the end of the forties, went fishing with àngamo, arousing the admiration excited by the then little Savior: "My grandfather and my uncles went fishing with almost àngamo every weekend. My grandfather had some customers that Sunday morning, taking advantage of the day off, went fishing with a line in the "Praia", ie in the area where today stands the refinery until the fifties and where they fished, among other things, aiule wonderful. The anglers on Sunday bought by my grandfather baits they needed, shrimp, that the "Scylla" captured precisely with the àngamo starting to fish around one o'clock in the night between Saturday and Sunday. The àngamo was lowered to the bottom and "trucked" behind the boat with oars, until it was filled with everything that was on the seabed. After running 3-4 "fell", returning home by placing on the table the entire catch: all four sat around the table to select the shrimp to be assigned to customers. In doing this, they talked to each other very slowly so as not to wake the others, but I, who remained awake waiting for them, as soon as they returned escaped from the bed to reach them at the table: the lure was too strong, all that sea life fascinated me so much; were the wonders of a new world discovered that week after week. There was everything, mostly algae, but many, many shrimp and many fish that were jumping up and down: there were sea horses, starfish, Bocconi anzùni, crabs, crickets, as well as larger fish as "scoffane" , prècchie, aiule, Lappe and sparagliòni. The "Scilla" possessed a àngamo and another "job" similar in shape but smaller: the angamèddu. At dawn on Sunday, the anglers arrived by bicycle to buy those shrimp caught during the night. "
Particularly dear to Salvatore's uncle Saverino "Scylla", because today is the last link in the chain, the ring that unites him ideally to loved ones that are gone now. As Uncle Nino "Scylla", died one morning in 2005 on the beach of Vaccarella, suffered a stroke just when he was about to launch your own boat to go fishing with his brother Saverino. There are so many memories that bind him to the old sea dog yet in form, "when I was on holiday in Milazzo, my uncle Saverino occasionally took me to fish with him. Calava the Conzo in Praia, capturing combs, weaver and pheasants, wonderful fish in the pond, now dominated by industrial complexes, I no longer exist. When fishing with him along the coast of the Cape, suddenly appeared around us hundreds of dolphins leaping frantically out of the water: I had a great fright, because in my life I had never seen anything like that.Some were swimming near our boat was then that, seeing them come ever closer, I turned to his uncle, asking: "What do we do now, we the squagliamo?" He said, 'peaceful, quiet ... do not be afraid, they are docile fish, you will see that there will not hurt "and continued to sail the Conzo quietly, as if nothing had happened. My fear subsided, but in the end he was right: those dolphins there earned him the slightest discomfort. "
The memories overlap in the mind of the Saviour, that with a bit of nostalgia relives moments, places, characters, and even boats of their own childhood. As the "Buzzetto" sailing grandfather and three uncles "Scilla" used for fishing in the late forties. Characters sometimes legendary, like Peter "Lilla", embarked together heroic Luigi Rizzo at the time of the Great War, "it seems that his surname was Salmeri. In a few Vaccarella remember him, "explains Salvatore, who adds," died in poverty from poor fisherman pulled his boat under the church of S. Maria Maggiore, and lived near the Shrine of St. Francis of Paola, in Scopari end of the street, the street where I lived, however, as well myself. "
Vaccarella was frequented by the characters sometimes characteristic. This is the case of casalòto "Rasi Pippinu ', which in the fifties, now an old man, he went fishing to pass the time by using' 'u Conzu' the pilu." Also captured "Sicce" and "pruppicèddi" limping a little bit due to his foot run down, but he was always happy and smiling. "He often joked, contrary to Peter" Lilla "which, however, was always sad and thoughtful. Like "Lilla" he pulled his boat under S. Maria Maggiore. I do not know his last name and do not know why I call him "razed", a title that feels more like a nickname rather than his real qualification in one of several traps milazzesis. One thing is certain: I remember with infinite affection. "
There are many fishermen who parade in the mind of the Savior: Ture his uncle, who, like his brother Stefano Salmeri, tuna station in Tono, was affectionately called "Mascialà," perhaps mispronunciation of Mascialài.Uncle Ture Salmeri lived in Via Ventimiglia, just a few meters from the Holy Russian fisherman said "Santèdda" and another family of experienced fishermen: the "Pond". In Scopari street, not far from the "Scylla", lived the Cusumano said "Pilùsu", specialists in fishing creels with traditional rattan, hand-built by themselves. Via Calcagno was the unchallenged rule instead of Jack Barefoot, the Conzo was his specialty, but also of other fishermen. And yet, in S. Maria Maggiore there were other experienced fishermen, as the beloved "Cicciu Specchiu" and Mico D'Amico, affectionately known as Vaccarella "Micu Paddu": "was very strong with the Conzo.E 'died several years ago - says Salvatore - but his skill has been passed down to the elderly and children Santo Franco, who employ different "jobs" and that currently they pull their boat near the church of S. Maria Maggiore, a few meters from the place in which they operated before being "evicted" from the marina. "
A long series of characters that Salvatore does not fail to support the "trades" Vaccarella used to the years of his childhood: seines, lacciare, conzi, pots, Otters, Angami and even filose. So how does not fail to remember an outstanding fishing occurred in 1959, when Peppino Maisano "Marasùli" and his brother Salvatore captured, along with their colleagues usual, a very strange fish, gigantic, forty feet long and with a mouth big enough to pick accommodate a man a fish trapped in nets deployed by Marasole, who, in spite of the considerable experience, they were able to identify that strange creature, which had, however, long filaments coming out of the airways.
Salvatore's mind travels back in time, remembering some moments of anxiety that presents itself, decades later, still today. Like when they told him the son of a brother of his maternal grandfather, Joseph Cusumano, lost at sea due to a storm during a fishing trip. His body was never found. It was called slabs. "This is my mother's cousin lived near Asylum Calcagno. Around 1950 I remember that came out a new song was called "And the boat returned alone" and singing it was Franco Ricci. I particularly remember the beginning of the text: "There were three brothers fishermen" ... died in the sea to save a stranger, and since my uncles were also three brothers and fishermen often found themselves in the midst of storms, and knowing well however, the end of which, unfortunately, had done their cousin shavings, as a child I always had a great fear that sometimes comes back still in my nightmares. "
Among the tales of the Savior, pretty interesting even those tramandatigli by his relatives and about World War II: During the strafing that damaged the facade of Palazzo Lucifer in Marina Garibaldi, the facade that a distance of about seventy years, there are still signs of that strafing, were severely injured the sister of his grandfather Joseph, Francesca Cusumano, and a relative of the same grandfather, Angelo Cusumano: the first lost an arm, while the second leg. "My uncle Nino, brother of the father, he was pinned to the ground instead of in the middle of the street in front of the church of S. Maria Maggiore was saved by a German soldier who risked his life to save him."
MASSIMO TRICAMO
Day after day, by sending e-mail all the way from New York long and detailed correspondences and tasty photographs taken in Vaccarella during its regular holiday "Italian", has in fact unknowingly wrote a remarkable diary of memories in which figures emerge sometimes forgotten, sometimes still alive in the collective memory of a fishing village, today more and more suffocated by the advance of floating pontoons, took a pleasure craft that is gradually burying the secular history of fishing Vaccarella.
From the memories of Salvatore emerge in the first place his maternal grandfather, Joseph Cusumano, and his three sons Saverino, Nino and Pasqualino, all deceased with the exception of Xavier, now close to ninety years old but still spry and fit, so as to go on a daily basis at the bar of S. Maria Maggiore with its motoape. They were the "Scylla", lived in Scopari away and they were real masters of fishing with Conzo. The three brothers were still young when, towards the end of the forties, went fishing with àngamo, arousing the admiration excited by the then little Savior: "My grandfather and my uncles went fishing with almost àngamo every weekend. My grandfather had some customers that Sunday morning, taking advantage of the day off, went fishing with a line in the "Praia", ie in the area where today stands the refinery until the fifties and where they fished, among other things, aiule wonderful. The anglers on Sunday bought by my grandfather baits they needed, shrimp, that the "Scylla" captured precisely with the àngamo starting to fish around one o'clock in the night between Saturday and Sunday. The àngamo was lowered to the bottom and "trucked" behind the boat with oars, until it was filled with everything that was on the seabed. After running 3-4 "fell", returning home by placing on the table the entire catch: all four sat around the table to select the shrimp to be assigned to customers. In doing this, they talked to each other very slowly so as not to wake the others, but I, who remained awake waiting for them, as soon as they returned escaped from the bed to reach them at the table: the lure was too strong, all that sea life fascinated me so much; were the wonders of a new world discovered that week after week. There was everything, mostly algae, but many, many shrimp and many fish that were jumping up and down: there were sea horses, starfish, Bocconi anzùni, crabs, crickets, as well as larger fish as "scoffane" , prècchie, aiule, Lappe and sparagliòni. The "Scilla" possessed a àngamo and another "job" similar in shape but smaller: the angamèddu. At dawn on Sunday, the anglers arrived by bicycle to buy those shrimp caught during the night. "
Particularly dear to Salvatore's uncle Saverino "Scylla", because today is the last link in the chain, the ring that unites him ideally to loved ones that are gone now. As Uncle Nino "Scylla", died one morning in 2005 on the beach of Vaccarella, suffered a stroke just when he was about to launch your own boat to go fishing with his brother Saverino. There are so many memories that bind him to the old sea dog yet in form, "when I was on holiday in Milazzo, my uncle Saverino occasionally took me to fish with him. Calava the Conzo in Praia, capturing combs, weaver and pheasants, wonderful fish in the pond, now dominated by industrial complexes, I no longer exist. When fishing with him along the coast of the Cape, suddenly appeared around us hundreds of dolphins leaping frantically out of the water: I had a great fright, because in my life I had never seen anything like that.Some were swimming near our boat was then that, seeing them come ever closer, I turned to his uncle, asking: "What do we do now, we the squagliamo?" He said, 'peaceful, quiet ... do not be afraid, they are docile fish, you will see that there will not hurt "and continued to sail the Conzo quietly, as if nothing had happened. My fear subsided, but in the end he was right: those dolphins there earned him the slightest discomfort. "
The memories overlap in the mind of the Saviour, that with a bit of nostalgia relives moments, places, characters, and even boats of their own childhood. As the "Buzzetto" sailing grandfather and three uncles "Scilla" used for fishing in the late forties. Characters sometimes legendary, like Peter "Lilla", embarked together heroic Luigi Rizzo at the time of the Great War, "it seems that his surname was Salmeri. In a few Vaccarella remember him, "explains Salvatore, who adds," died in poverty from poor fisherman pulled his boat under the church of S. Maria Maggiore, and lived near the Shrine of St. Francis of Paola, in Scopari end of the street, the street where I lived, however, as well myself. "
Vaccarella was frequented by the characters sometimes characteristic. This is the case of casalòto "Rasi Pippinu ', which in the fifties, now an old man, he went fishing to pass the time by using' 'u Conzu' the pilu." Also captured "Sicce" and "pruppicèddi" limping a little bit due to his foot run down, but he was always happy and smiling. "He often joked, contrary to Peter" Lilla "which, however, was always sad and thoughtful. Like "Lilla" he pulled his boat under S. Maria Maggiore. I do not know his last name and do not know why I call him "razed", a title that feels more like a nickname rather than his real qualification in one of several traps milazzesis. One thing is certain: I remember with infinite affection. "
There are many fishermen who parade in the mind of the Savior: Ture his uncle, who, like his brother Stefano Salmeri, tuna station in Tono, was affectionately called "Mascialà," perhaps mispronunciation of Mascialài.Uncle Ture Salmeri lived in Via Ventimiglia, just a few meters from the Holy Russian fisherman said "Santèdda" and another family of experienced fishermen: the "Pond". In Scopari street, not far from the "Scylla", lived the Cusumano said "Pilùsu", specialists in fishing creels with traditional rattan, hand-built by themselves. Via Calcagno was the unchallenged rule instead of Jack Barefoot, the Conzo was his specialty, but also of other fishermen. And yet, in S. Maria Maggiore there were other experienced fishermen, as the beloved "Cicciu Specchiu" and Mico D'Amico, affectionately known as Vaccarella "Micu Paddu": "was very strong with the Conzo.E 'died several years ago - says Salvatore - but his skill has been passed down to the elderly and children Santo Franco, who employ different "jobs" and that currently they pull their boat near the church of S. Maria Maggiore, a few meters from the place in which they operated before being "evicted" from the marina. "
A long series of characters that Salvatore does not fail to support the "trades" Vaccarella used to the years of his childhood: seines, lacciare, conzi, pots, Otters, Angami and even filose. So how does not fail to remember an outstanding fishing occurred in 1959, when Peppino Maisano "Marasùli" and his brother Salvatore captured, along with their colleagues usual, a very strange fish, gigantic, forty feet long and with a mouth big enough to pick accommodate a man a fish trapped in nets deployed by Marasole, who, in spite of the considerable experience, they were able to identify that strange creature, which had, however, long filaments coming out of the airways.
Salvatore's mind travels back in time, remembering some moments of anxiety that presents itself, decades later, still today. Like when they told him the son of a brother of his maternal grandfather, Joseph Cusumano, lost at sea due to a storm during a fishing trip. His body was never found. It was called slabs. "This is my mother's cousin lived near Asylum Calcagno. Around 1950 I remember that came out a new song was called "And the boat returned alone" and singing it was Franco Ricci. I particularly remember the beginning of the text: "There were three brothers fishermen" ... died in the sea to save a stranger, and since my uncles were also three brothers and fishermen often found themselves in the midst of storms, and knowing well however, the end of which, unfortunately, had done their cousin shavings, as a child I always had a great fear that sometimes comes back still in my nightmares. "
Among the tales of the Savior, pretty interesting even those tramandatigli by his relatives and about World War II: During the strafing that damaged the facade of Palazzo Lucifer in Marina Garibaldi, the facade that a distance of about seventy years, there are still signs of that strafing, were severely injured the sister of his grandfather Joseph, Francesca Cusumano, and a relative of the same grandfather, Angelo Cusumano: the first lost an arm, while the second leg. "My uncle Nino, brother of the father, he was pinned to the ground instead of in the middle of the street in front of the church of S. Maria Maggiore was saved by a German soldier who risked his life to save him."
MASSIMO TRICAMO